di Jacopo Scarinci
Il latrato sguaiato di improvvisati alfieri di qualunque religione, che scelgono Facebook per scrivere i loro sgrammaticati e sconclusionati pareri, non deve distogliere dalla riflessione più importante da fare a seguito del vile attentato in cui è stata decimata una redazione giornalistica.
La questione non è religiosa, ma si è trattato di un attentato alla libertà. Siamo tutti Charlie perché quelle scariche di mitra non sono state rivolte solo ai redattori e ai vignettisti di quel settimanale satirico, ma a un Paese intero, la Francia, e verso tutti noi, cittadini. “Cittadini”, termine non a caso, perché era così che ci si chiamava nella Francia rivoluzionaria, dove i Lumi finalmente riuscirono ad accendersi in un Paese che prima era a metà tra corruzione e clericalismo sfrenato. Da lì, da quel 1789, dal Giuramento della Pallacorda, è nato un Paese che, pur tra mille difetti, ha inventato dal niente il concetto di “laicità dello Stato”, ovvero quella soluzione che oggi porta le scuole francesi a non avere né il Crocifisso nelle aule né menu differenti per i bambini musulmani. Perché la religione, con lo Stato, non c’entra niente. E deve continuare a non entrarci niente.
“Laicità” è un termine bellissimo, perché fa per forza di cose il paio con “Uguaglianza”. Tutti abbiamo l’eguale diritto di professare una religione o di rivendicare l’ateismo, possiamo farlo in piazza, nel privato, in famiglia. E sulla carta stampata. Rilanciando le vignette su Maometto apparse su un giornale danese, “Charlie Hebdo” questo ha fatto. Ci ha ricordato, ancora una volta, che tutti siamo uguali, che tutti possiamo essere oggetto di critiche, satira, contestazioni. Dispiace che ci si sia focalizzati sulle copertine dedicate a Maometto, perché anche quelle con Ratzinger e Gesù stavano a significare la stessa identica cosa: siamo persone, e le religioni, tutte le religioni, vengono dopo le persone. Questo dovrebbe essere ricordato dai nuovi fanatici comparsi l’altro ieri come funghi dopo la pioggia.