di Sandor
Ci sono molti modi per manifestare il proprio razzismo. Uno è quello, chiamiamolo così, classico. È miope, ignorante, basso, cattivo, bastardo, crasso. Leghista, insomma. E poi c’è il razzismo benpensante, quello dei fedeli che alla Messa si scambiano il segno di pace ma eleggono e votano come siluri lanciati dagli U-Boot nazisti. Avendo adottato un bambino di origine somala, mi imbatto spesso in questo razzismo in apparenza edulcorato, ma altrettanto pericoloso di quello del tipico Ticinensis Ferox legaiolo.
Spesso il razzismo melenso è femmina abbiente. Arriva da appariscenti donne con SUV, impellicciate, con le labbra gonfie come canotti e il trucco pesante come l’intonaco sul muro, con appresso bambini e bambine che sembrano caramelle e sono le copie dei regolamentari cagnolini alla moda che hanno a corredo. Non sai bene se i vestiti firmati e il felpino per il povero quadrupede li comperano in una boutique per umani e cani ricchi. I commenti sono sempre gli stessi. Dopo un incipit tipo “Ooooooh, ma che bel cioccolatino!” e battute sul fatto che d’estate non ci sarà bisogno della crema per il sole (falso, peraltro), arriva l’immancabile “Io non sono razzista, ma non potevi adottarne uno ticinese?”. Di solito rispondo: “Per farlo diventare come i tuoi, ho preferito prenderlo da fuori”.
E poi chiedo a Madre Natura: ma non potevi riflettere meglio quando distribuivi la fertilità?
(Foto: U.S. National Archives and Records Administration)