di Gabriele Bolckau
Oggi la chimera della ricchezza, della fama e del potere è alla base della nostra cultura.
I genitori vogliono che i loro figli siano “qualcuno” nella vita, come se essere un cameriere, un custode o un addetto alle pulizie ti rendesse “nessuno”. Le professioni più umili hanno ora dei nomi altisonanti: il cameriere è diventato un “impiegato di ristorazione”, il custode un “operatore di edifici e infrastrutture”, l’addetto alle pulizie un “operatore per la pulizia ordinaria e manutentiva”. Probabilmente i nomi ufficiali sono stati cambiati per contrastare il fenomeno che induce tanti a considerare certe professioni “di serie B”. Il punto è che non esistono lavori di serie A o di serie B: ogni professione è fondamentale per la nostra economia e la nostra società. Il problema è culturale e di mentalità.
Fin da quando siamo piccoli, i nostri genitori cercano di convincerci che, se non sei laureato, non sei nessuno. Alle Scuole elementari iniziamo a ricevere delle valutazioni qualitative, come se le peculiarità di ogni persona non fossero importanti ma andassero invece omologate. Alle Scuole medie abbiamo i degradanti corsi A e corsi B. Dopodiché ci ritroviamo alla scelta fatidica: liceo o apprendistato? L’apprendistato viene percepito come una formazione di ripiego per chi non è “abbastanza” per poter frequentare il liceo. Molti giovani di 15 anni non hanno ancora maturato una scelta definitiva, però viene loro imposto di scegliere. E di farlo in fretta. Molti scelgono quindi il liceo, anche se non è sempre la soluzione giusta per tutti.
Non abbiamo mai abbastanza tempo, non siamo mai abbastanza. Facciamo scelte di cui ci pentiamo, ma non sempre è possibile fare una riqualificazione. Abbiamo aspettative altissime che spesso ci portano a a grandi sacrifici e grandi delusioni. Un posto di lavoro “sicuro”, un impiego soddisfacente anche senza una paga esagerata: sono priorità che godono importanza sempre minore.
Vogliamo sempre di più, non ci accontentiamo, mettiamo in secondo piano la nostra serenità e quella della nostra famiglia per inseguire la ricchezza. Non lavoriamo per vivere, viviamo per lavorare. Il tempo libero e le passioni hanno sempre meno spazio. L’arte e la cultura hanno un valore sempre più astratto e meno concreto. Si fanno mille lavori, si è sempre reperibili, non si ha nessuna certezza…
E sembra che tutto ciò peggiorerà in futuro. È davvero questo il mondo che vogliamo?