di Artemisia
La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha legiferato: il matrimonio gay è un diritto costituzionale che tutti gli Stati dovranno garantire. Dopo anni di battaglia, finalmente anche gli stati più conservatori dovranno lasciarsi sommergere dalla marea della Primavera Multicolore.
Obama lo ha voluto e lo ha ottenuto, alla fine, così come la riforma sanitaria (la contestatissima Obamacare) e tanti altri progressi. Il suo Nobel per la Pace è stato aspramente criticato, poiché le missioni all’estero degli USA, sebbene diminuite, non hanno perso del tutto il loro aggressivo mordente. Eppure è indubbio che Obama ha mantenuto le sue promesse nell’ambito dei diritti civili: Yes We Can.
Poche elezioni hanno appassionato fuori dagli Stati Uniti quanto quella del primo uomo nero alla Casa Bianca e poi quella della sua ricandidatura, perché – diciamolo – era un cambiamento che volevamo vedere. Tutti. Un cambiamento che ci ha ispirati e ci ha fatto vedere un mondo più progredito di quello che nei momenti di pessimismo crediamo di avere tra le mani.
Nell’America delle opportunità, delle minoranze, del razzismo, dell’immigrazione, dell’integrazione, della libertà e dell’affermazione di sé, il primo presidente di colore ha subito pensato a una riforma del sadico sistema sanitario e dell’estensione dei diritti e dei riconoscimenti civili, dimostrando quanto l’illuminato, splendido intervento di Yoruba Richen per TED sia veritiero: le battaglie del mondo LGBT negli Stati Uniti hanno ricalcato in forma, contenuto e importanza le battaglie dei diritti civili della minoranza afroamericana, finendo per intrecciarvisi strettamente.
Allora non è un caso che un presidente nero si sia battuto per i diritti di chi ancora combatteva per il riconoscimento di legalità, dignità e parità: come lui da giovane per i propri. Obama ha pensato al mondo migliore che tutti volevano e non solo una determinata fascia sociale: bianca, eterossessuale, possibilmente ricca, plausibilmente cristiana. La sua spinta ha portato effetti a catena, in un’Europa che già combatteva a tratti per questi diritti. Non nascondiamoci: un oceano ci divide, ma la grancassa mediatica della campagna di Obama ci ha raggiunti e la spinta in Europa è triplicata, nutrendosi dei movimenti statunitensi e nutrendoli a propria volta.
Ora in America possono. E sentiamo di aver vinto un po’ anche noi. Il vento soffia forte e arriva a scompigliarci i capelli, e per una volta odora davvero di libertà, senza petrodollari, Coca Cola e puzza di fritto McDonald’s.
Grazie, Obama.