di Era Somazzi
Sfoglio le pagine di un giornale e trovo tre dichiarazioni di Norman Gobbi.
“Noi facciamo il lavoro per conto dell’Italia e dell’Unione Europea, in particolare per ciò che riguarda l’identificazione dei migranti.”
Divertente: pare non sappiano nemmeno come funzioni il trattato di Dublino III. Identifichi e quindi registri lo straniero? Bene, solo allora sono cavoli tuoi. O, meglio, migranti tuoi.
“La frontiera sud della Germania.”
Il solo fatto che affermi che il Ticino è la porta Sud della Germania mi fa dire: “Ohibò, non siamo in Svizzera? Forse mi sbaglio, aspetta che controllo… no no, Ticino: Cantone elvetico”. Allora sa che buona parte dei migranti non vuole fermarsi sul suolo elvetico. Forse è questo che lo rende così stizzoso.
“Dobbiamo dare un segnale, fermare i clandestini alla frontiera sud per rispedirli indietro”.
Indietro dove, Gobbi? In Italia? In mare? Forse la Segreteria di Stato della migrazione glielo deve dire in Hochdeutsch che, in base agli accordi di Schengen, il respingimento può avvenire solo in caso di “minaccia grave” per l’ordine pubblico o la sicurezza interna. Questi sono disperati che chiedono solo di raggiungere amici e/o parenti, al sicuro da guerre, fondamentalismi e dittature. Sì, perché il più delle volte è per questo che vogliono passare oltre la Svizzera e andare quanto più a Nord possibile. Spesso non sanno neppure dove sono, camminano finché possono, finché delle guardie non li fermano e non li registrano impedendo loro di varcare altri confini. Forse a Gobbi e al suo partito, insieme all’UDC e al PPD, sfugge un particolare: il Paese che per primo registra l’individuo se ne fa carico. Eh, già: i migranti cercano di eludere i controlli quanto più possono perché loro sanno bene che, per non rimanere bloccati da soli non si sa dove, non si sa per quanto e non si sa come in un Paese che non li vuole, non devono farsi fermare e prendere le generalità.
La loro meta non è la Svizzera, ma il Nord Europa. Se ne faccia una ragione, Gobbi.