di Corrado Mordasini
In turco li chiamano “gli spegnitori di lampade”, gli Yazidi. Non sono una popolazione etnicamente separata: a tutti gli effetti sono curdi. Quei Curdi che senza l’aiuto di nessuno stanno facendo capire cosa significhi “patria” ai tagliagole dell’ISIS.
Lo yazidismo è una religione. I Persiani li chiamavano anche “adoratori del diavolo”, perché nel loro credo il più importante angelo emanazione di Dio è un caduto pentito. L’angelo Pavone pianse di pentimento e le sue lacrime, versate per 7’000 anni, riempirono sette anfore che estinsero le fiamme dell’inferno. Oggi queste anfore dovrebbero raccogliere le lacrime degli Yazidi per le uccisioni, le torture e gli stupri a cui vengono sistematicamente sottoposti. Lacrime che oggi sono bevute dai deserti dell’Iraq.
E qui nascono le ragazze del sole: un battaglione di donne yazide curde che si sta addestrando per vendicare gli stupri e le uccisioni. Molte di loro sono state esse stesse vittime, ma le donne curde non si piegano facilmente. Nella società curda le donne hanno tutt’altro ruolo rispetto a quello che hanno nell’Islam. Infatti per noi non è raro, in questi mesi di guerra, vedere giovani donne curde con la mimetica e un mitragliatore sulla spalla. Hanno dai 17 ai 30 anni e sono assetate di vendetta. A guidare le ragazze del sole, chiamate così perché il dio yazida è il dio della luce, è una cantante folk: Xate Shingali. “Ci hanno stuprate, li uccideremo”, gridano le adoratrici della luce. E se io fossi nei banditi dell’ISIS avrei paura. Perché la storia ci ha insegnato, dai battaglioni di donne combattenti in Unione sovietica durante la Seconda guerra mondiale fino alle soldatesse israeliane, cosa riescono a fare delle donne a cui viene dato l’effimero potere della mitraglia, di solito riservato agli uomini.
Ma le Yazide fanno paura soprattutto perché negano tutto quello che per l’ISIS è legge. Sono l’esempio fulgido e luminoso di quello che una donna dovrebbe essere: libera, artefice del proprio destino, indipendente al punto da imbracciare un fucile per difendere la propria casa e il proprio onore. La donna curda vive in una società in cui la parità non è più un miraggio, ma una concreta possibilità.
Xate suona il suo târ pizzicandone delicatamente le corde, mentre un suono estraneo e metallico permea l’aria, e la sua voce gli si sovrappone: un lamento che si alza nel vento, un lamento che sa di vendetta, una voce che entra sotto la pelle dei briganti del califfato.
Se ci sarà redenzione per i Curdi, sarà anche e soprattutto grazie alle loro donne. Non solo perché combattono, ma perché rappresentano l’autodeterminazione in contrapposizione all’oscurantismo. Perché le donne pensano lungo, non come gli uomini. Pensano alla terra, al futuro, ai figli. Questo le rende combattenti più motivate e caparbie e feroci.
L’ISIS dovrà affrontare madri, sorelle, mogli. L’ISIS dovrà affrontare le donne che tanto disprezza e morire sotto i loro colpi.
L’ISIS dovrà piangere sette anfore di lacrime, pentendosi per le atrocità commesse. Solo allora nel deserto dell’Iraq le fiamme dell’inferno saranno spente.