di Jacopo Scarinci
Il ricco romanzo intitolato “Cosa dovrebbero mai pensare del Ticino a Berna?” si arricchisce di un altro gustosissimo capitolo. Questa volta l’eroe è Francesco Maggi, dei Verdi, che a “Il Quotidiano” del 14 ottobre, con una solennità degna di Truman mentre ordina lo sgancio delle bombe atomiche sul Giappone e una vitalità degna di Giulio Andreotti, ha sparato quanto segue: “L’unico modo per far fronte a questo mercato libero è quello di pagare una parte dei salari con una moneta con validità unicamente ticinese”.
Questa le batte tutte. Secondo il mitico Maggi, in Ticino i salari dovrebbero essere pagati un po’ in franchi e un po’ in una moneta tipo i soldi del Monopoly da spendere solo all’interno del Cantone: se riuscite a rimanere seri per cinque secondi mi avete già battuto di quattro secondi e mezzo. Ma sono risate amare, tristi, piene di disincanto, perché queste sono figuracce che il nostro Cantone non merita in alcun modo. E soprattutto minano alle fondamenta le giuste richieste di porre un freno all’imperante dumping salariale praticato in Ticino.
Il problema, però, è che se devi andare a convincere qualcuno a Berna devi essere credibile, preparato, avere la capacità di battere la scarpa sul tavolo come Nikita Kruscev all’ONU. Invece no: noi abbiamo Francesco Maggi e la sua valuta parallela, una roba che quando Wolfgang Schäuble la propose riguardo alla Grecia si trovò attaccato alla carotide mezzo mondo. E stiamo parlando di Schäuble: figuriamoci il nostro epigono di Savoia.
Dobbiamo serenamente accettare il fatto che no, Berna non ci capirà mai. E non per colpa del Governo, del mondo, del destino e dei complotti, no. Per colpa nostra, perché se il primo che passa può permettersi di pensare di andare da chi ha in mano l’economia del Paese a dire che il dumping diminuirebbe con una valuta parallela al franco vuol dire che ci meritiamo tutto.