La settimana scorsa, intervistato dalla RTS (vedi link), Norman Gobbi ha dato l’ennesima prova che chi sta facendo resistenza civile contro la sua candidatura in Consiglio federale ha ragione da vendere. E non, ripetiamo, per orientamento politico. Semplicemente perché non è una candidatura, è una barzelletta: l’hanno capito ovunque tranne qui.
Immaginatevelo voi un qualsiasi giornalista ticinese a far la stessa domanda fatta dall’ottima collega romanda: se la Destra, e soprattutto la Lega, hanno chiamato per anni Widmer-Schlumpf “la ministra del 5%”, cosa dovrebbero fare con lui che ha l’1%? Pura fantascienza. Simpatica la reazione: ha fatto notare la sua stazza chiedendosi come possa essere considerato un Consigliere federale “dimezzato” uno bello in carne come lui. Non facciamo i moralisti da due spicci: il vero problema è spiegare agli spettatori romandi che Gobbi si crede qualificato da una vita per entrare in Consiglio federale, non la sua pancia e la sua risposta.
A tutta questa meraviglia si è aggiunta la tragicommedia del sentirlo parlare di sé in terza persona: lo faceva Giulio Cesare, e il paragone francamente non regge. La cosa gli sta sfuggendo di mano, e la colpa non è solo sua, ma anche di larga parte di questo sempre più pazzo Cantone che per puro campanilismo, e con un’aria da parvenu veramente imbarazzante, sta considerando questa candidatura una cosa seria e non un contentino, un simpatico buffetto di simpatia per l’acqua portata dal Ticino al mulino del 9 febbraio.
O peggio, appunto, una barzelletta.