di Ermete
Toc. Totoc.
Da dove vengono queste gocce di pioggia rese pesanti dall’accumulazione? Nel buio ispessito della notte si abbandonano alla vertigine senza suoni e senza tracce della gravità. Per poi esplodere, con ritmo irregolare, sul davanzale in alluminio della mia finestra.
A quel suono è dolce affidare il proprio senso di protezione, di tepore avvolgente, al riparo di un piumone, di un locale riscaldato, di un tetto e di pareti sicure. Il mondo fuori non importa. Ci sono solo fisica e sensazioni. La certezza dell’universale che si somma al privilegio del personale.
Un’alchimia perfetta che sa però di provvisorio. Nello spazio. Nel tempo.
In questo stesso tempo ma in altri spazi, con medesimo ritmo, al culmine di percorsi scavati nel tormento e nel dolore, migliaia di vite si infrangono sulle sponde delle nostre terre, finestre sul mare.
All’origine di questa pioggia, che a tratti si fa tempesta, non le leggi della fisica, bensì il volere disumano degli umani. La follia che brucia la ragione. La fisica, lei, ne è indifferente: movimento, energia, dispersione. Non cambia nulla. L’insieme, a bilancio, si conserva.
Non si conserva però quella che noi chiamiamo vita. Centinaia, migliaia di quelle gocce nel loro percorso trovano ostacoli su cui esplodere, dissipando il proprio stato vitale. Lasciando di qua dolore, indifferenza od odio (secondo l’umano degrado). Incontrando di là quel che per noi è il nulla.
Fuori la notte è ancor più buia. Mi giro e mi stringo nell’abbraccio del piumone.
Toc. Totoc…