di Libano Zanolari
Un conto è lavorare per i vari “Milan o Inter TV-Channels” o per certi bollettini parrocchiali (Tuttosport), un altro per una televisione di servizio pubblico: nel primo caso si gioca a carte scoperte, nel secondo il tifo (nemmeno troppo mascherato) e la sudditanza nei confronti del campione è indecente, e offende chi paga il canone.
Crimen maiestis, la “lesa maestà” del diritto romano ha attraversato i secoli ed è arrivata nello sport moderno: il calciatore si ritiene intoccabile. L’arbitro non ha diritto di punirlo. Protervio, contesta a prescindere. Scrolla il capo, irride. È l’onda lunga della “deregulation” della coppia Reagan-Thatcher. Back to the jungle e niente Stato. Fa testo la legge del più forte, o quella “divina”. Sopra di me non c’è nessuno. Ed è per questo che nello scorso anno in Italia sono stati picchiati 650 arbitri, e che nel Canton Ticino le squadre non ce la fanno più a trovare candidati. L’arbitro, sul cattivo esempio dei grandi, è sistematicamente contestato già a partire dai “pulcini”. Insospettabili mamme e nonnine brandiscono l’ombrellino e si scatenano nel turpiloquio non appena la “giacchetta nera” osa sanzionare il pargolo, futuro Messi.
L’arroganza, ma anche la stupidità del calciatore non teme il ridicolo: il calcione alla tibia o alla caviglia nel gesto mimico diventa un calcio alla sfera, in spregio alle forma anatomiche. La presa con elementi di lotta greco-romana, rugby e catch-as-catch can (“ciapa ti ca ciapi anca mi”) viene mimata con un gesto vago e gentile, da buffetto quasi. Stupendo in questo senso, da antologia, il modo in cui Gimenez dell’Atletico Madrid, novello Minosse dantesco, ha avvinghiato Martinez del Bayern Monaco: “stavvi Minos orribilmente e ringhia”. E qui viene il bello: perché il virile Gimenez mima ciò che ha fatto con una mossetta non molto dissimile da quella famosa delle “sciantose” napoletane dell’Ottocento. Arriva la vittima, Martinez, e mima invece la “cintura” subita. Clamoroso colpo di scena alla RSI: il commentatore tecnico Tony Esposito dice di non capire il comportamento di Gimenez. “Dovrebbe ammettere il fallo”, aggiunge. È una clamorosa novità: infatti basterebbe che tutti i suoi colleghi e tutti il telecronisti fossero meno ruffiani e servi dello star-system per migliorare di molto le cose, avendo in mano un’ arma formidabile: quella dell’immagine al rallentatore che al 95% non solo smentisce, ma sprofonda nel ridicolo il calciatore che nega per principio un’infrazione.
Basterebbe un pizzico di ironia, basterebbe mettere in risalto la discrepanza fra la realtà e la versione dal calciatore. E invece si preferisce passare oltre o al massimo usare il termine “contatto”, che peraltro esiste anche quando uno a gamba tesa spacca tibia e perone all’avversario. Anche una coltellata che penetra per una decina di centimetri nell’addome costituisce contatto: fra la lama e le viscere. Troppe volte pure gli allenatori danno il cattivo esempio: come il tarantolato “Cholo” Simeone che non restituisce la palla o se la prende con Ribéry speculando su una possibile reazione e sanzione. A proposito di sudditanza: avete già sentito Platini, pessimo dirigente ma grande giocatore, dire una parola sulla degenerazione del gioco del calcio? Business is business. L’anatema scagliato da Shakespeare è sempre attuale: “you whoreson dog, you base football player!” “Cane, figlio di prostituta, spregevole calciatore”.
Sovente proibito in Inghilterra e Francia, il gioco del calcio nel Medioevo provocava risse e uccisioni. Codificato prima dai maggiori educatori e poi dai fondatori del moderno calcio, solo in data 8 dicembre 1863 pubblica 23 “rules”, regole. La decima dice: “neither tripping nor hacking shall be allowed, and no player shall use his hands to hold or push his adversary”. “Non sarà permesso lo sgambetto o l’entrata a gamba tesa, nessun giocatore potrà usare le mani per tenere o spingere l’avversario”. Sicuri che il nostro calcio a più di 150 anni di distanza sia sano?