Siamo contenti e affascinati dal progetto che Mario Botta ha creato per la nuova stazione di Locarno. Anche perché era un po’ che non batteva chiodo. Chi crede che Botta sia sovraesposto ce che faccia tutto lui deve ricredersi. A parte quelle 20 o 30 commesse pubbliche, parapubbliche e private, fa poca roba.
La stazione diventerà un pregevole manufatto che l’architetto prevede di foderare in mattoni di cotto facciavista delle cave argillose di Arzo, marmo di Peccia e gneiss. I binari saranno invece espressamente creati in granito di Vergeletto con traversine in travertino laziale. I cessi della stazione, solitamente luogo di perdizione e abbandono, saranno valorizzati con tazze di alabastro, mica e dolomia saccaroide e posati in sale senza pareti con la luce proveniente dall’alto attraverso lastroni di cristallo di rocca. Per i lavelli, abili artigiani valtellinesi scaveranno la pietra ollare a forma di camelia: un omaggio alla vocazione botanica del locarnese.
I treni nuovi, progettati anch’essi dal Botta, constano di vagoni e locomotive con una sovrastruttura metallica rivestita di tufo lombardo, sapientemente intarsiato di ciottoli prelevati dal fiume Ticino. La scomodità dei sedili di castagno naturale sarà stemperata dalla loro bellezza estetica. Insomma, meglio appoggiare male il culo ma su un sedile di design.
Anche la scarsa velocità del locomotore a causa del peso sarà comunque messa in secondo piano dalla titanica fantasmagoria dell’opera, inoltre così c’è il tempo di vedere il paesaggio.
A un giovane architetto che protestava di fronte alla stazione la mancanza di commesse che verrebbero date tutte al prestigioso collega, il Botta ha risposto con una sonora pernacchia e un lancio di dadi di porfido che hanno tramortito il giovane facinoroso, prontamente prelevato dalla polizia, che ha provveduto a manganellarlo ben bene per fargli capire che il lavoro bisogna sudarselo e mica casca così dal cielo.