Non siamo stati delle Cassandre nel dire che l’albo Lia sarebbe servito oggettivamente a poco e, anzi, sarebbe stato un boomerang. I dati aggiornati al 30 settembre, e con il 50% delle domande inoltrate già trattate, sono impietosi: l’84% delle aziende che si sono iscritte (obbligatoriamente) all’albo sono svizzere, e la stragrande maggioranza di queste ticinesi.
La legge tirata fuori dal cilindro leghista di Claudio Zali, insomma, ha portato a questa facilmente prevedibile (noi del Gas lo diciamo da mesi) conclusione: la fregatura è tutta sulle spalle, e nel portafogli, degli artigiani ticinesi. Eh sì. Perché se le ditte che vengono da oltre Gottardo, dove si erano infuriati tutti, sono esenti dalle tasse e dall’Italia a iscriversi sono stati così pochi appare lampante come l’intero progetto sia all’insegna del clamoroso, e dispendioso, fallimento.
Lo spieghino Claudio Zali e i suoi accoliti ai noss gent, ai nostri pittori, ai nostri falegnami, ai nostri artigiani e ai nostri idraulici che per rompere un po’ i coglioni ai lombardi così per sport sono finiti a pagare una tassa di centinaia di franchi per, semplicemente, fare il proprio lavoro a casa loro. L’effetto ottenuto è che le relazioni tra Italia e Ticino, come se “Prima i nostri” non fosse sufficiente, sono state messe ancora più in difficoltà, i nostri artigiani sborsano una cifra non preventivata e il motivo di tutto questo sfugge.
Sfugge perché non c’è, tutto questo immondo teatrino è stato tirato su dalla Lega per la solita ragione: far propaganda, strillare, raccogliere voti, dare addosso a frontalieri e padroncini chiamati qui da noi (e da Attilio Bignasca in primis) ma rappresentati come usurpatori che arrivano di notte col paracadute.
Il senso di tutto questo?