Insomma, nel 2016 e nella civile Svizzera succede anche questo: concedi l’autorizzazione per un concerto rock con band elvetiche, massimo 800 spettatori previsti, e ti ritrovi con 5-6 mila neonazisti a celebrare la loro esistenza.
E la cosa per molti passa così, agile. Cronaca, qualche interrogativo su denunce o non denunce. Cose che succedono, son ragazzi. Beh, non è proprio così: 5-6 mila neonazisti che si ritrovano in allegria a Unterwasser, canton San Gallo, non sono semplice cronaca. Sono un problema. E il problema non è sangallese, della polizia o della stampa tutta che deve decidere se mettere la notizia a fondo pagina o se far partire dibattiti etico-culturali come hanno fatto Nzz, Tages Anzeiger, Le Temps o Tribune de Genève. Il problema è nostro come umanità, come abitanti di questo mondo.
Perché in mezzo a noi non ci sono solo quei 5-6 mila. Sono molti di più. Sono molti di più nella ex Germania est, in Polonia, in Italia e sì, anche in Ticino. Sono molti quelli che con estrema disinvoltura e blaterando di Ezra Pound e Julius Evola – senza averli letti neanche di striscio – si professano nazisti un po’ come uno può professarsi interista. Ed è questo, in fin dei conti, il vero problema: la leggerezza nel dichiararsi nazisti. Quello che è un macigno della storia, la negazione dell’uomo spacciata per aspirazione alla sua elevazione, la lista lunga sei milioni e qualcosa di nomi che una volta erano vite oggi è una maglietta, un brand, una chiacchiera, un raduno camuffato da festicciola paesana.
Episodi come questo – Unterwasser non è il primo, non sarà l’ultimo – ci ricordano anche i nostri errori. Sì, perché anche noi non ne siamo esenti. Per qualcuno la Shoah è un’invenzione, in Francia un leader politico come Jean-Marie Le Pen ha definito le camere a gas “un dettaglio della storia”, per certi politici come Mario Borghezio è normale dire “il nazismo ha fatto anche cose buone”. E spesso si fa spallucce, si dice “povero scemo”, si pensa che la verità storica alla fine trionfi sempre e che l’ovvio sia ovvio. Invece no, anche l’ovvio va raccontato, spiegato ai giovani, descritto minuziosamente nella sua crudezza.
E già che ci siamo, iniziamo a cercar risposte a questa semplice domanda: in che modo possiamo anche solo sperare di andare avanti se molti, troppi non hanno la minima coscienza di che passato abbiamo vissuto fino a solo 70 anni fa e, anzi, se ne vantano?