Rimettiamo la chiesa al centro del villaggio e siamo seri: quello in Italia è stato un tiro al bersaglio, non un voto. E, soprattutto, non è stata bocciata la riforma costituzionale approvata dal Parlamento: è stato bocciato Matteo Renzi. Da chi? Da gente cui della riforma, e va da sé della Costituzione, non poteva fregare di meno.
Il festoso villaggio vacanze composto da Cinque Stelle, Salvini, Berlusconi, fascisti e sinistra tutti insieme appassionatamente voleva liberarsi di Renzi, e ha fatto una campagna elettorale allucinante senza mai parlare della riforma ma di Unione Europea, banche, riforma del lavoro, pensioni e crisi economica. Tutte cose che, con l’oggetto del referendum, non c’entravano niente. E se la gente va a votare dimenticandosi dell’oggetto in votazione, ma guidata da fattori esterni, il risultato non può che essere questo. Fa molto ridere che ieri notte abbiano festeggiato insieme, e per lo stesso motivo, la fiera sinistra italiana e Marine Le Pen. Tragicomico, ma comunque è poesia, è dettaglio: oggi va di moda votare seguendo antipatie e/o simpatie. Ed è, piaccia o no, lo specchio dei tempi: un referendum costituzionale viene deciso da fattori che, con la riforma costituzionale, non c’entravano un emerito niente. Molto italiano.
Eppure Matteo Renzi non ne esce così male. La grande e variopinta accozzaglia ha vinto, ma i numeri non sono un dettaglio. Guardiamone due che, sebbene non dicano tutto, sono abbastanza interessanti. Nel 2014 alle elezioni europee il PD, con piccoli alleati, prese il massimo dei voti della sua storia: 12’405’581. Ieri, a favore della riforma renziana, e con buona parte del suo partito a far chiassosa rivolta popolana contro l’usurpatore, si sono espressi 13’432’187 italiani. Il conto è facile: il bacino elettorale (personale) di Renzi si è allargato di un milione di voti. In un’Europa dove i partiti non contano più niente e in un’Italia dove la sinistra è ridotta a macchietta e stanca parodia di sé stessa questo non è un fattore da poco.
Ora Renzi farà non uno ma tre passi indietro, a godersi lo spettacolo della grande accozzaglia dei nuovi patrioti al lavoro. E sarà lì, nella sua Colombey-les-Deux-Églises sull’Arno, quando qualcuno, timidamente, inizierà a rimpiangerlo.