Leggere il Mattino è spesso fonte di arrabbiature e delusione. A volte però mette di buon umore, anzi, ci consente pure qualche grassa risata. Sull’ultima edizione troviamo l’ennesimo intervento dell’oramai pensionato paladino dell’ultradestra nostrana Tullio Righinetti che, regolarmente, accetta ben volentieri di dire la sua pur di attaccare il grande nemico: lo Stato e la sua amministrazione. Questa volta è il turno del Centro di dialettologia e etnografia.
Spassoso è però l’accostamento con l’articolo che occupa l’intera pagina successiva del maldicente foglio domenicale, ovvero l’attacco al Corriere del Ticino e, in particolare, al figlio del Tullio, cioè il caporedattore Gianni. Il povero Righinetti junior viene pesantemente insultato e leso nella sua dignità professionale: descritto come soldatino che obbedisce agli ordini costretto a “slinguazzare” senza ritegno e senza decenza, accusato di “zerbinismo” al servizio del PLRT. Il tenero Gianni si vede addirittura dipingere come uno che farebbe “marchette”. Ma il vecchio Tullio lo legge questo bel giornale o si limita a sostenerlo?
Perché è un giornale di ingrati: proprio stamattina il segugio di Muzzano si è prodotto in un lungo elenco di qualifiche e nazionalità di chi è dentro lo scandalo dei permessi che ha colpito il Dipartimento istituzioni. Dimenticandosi della patrizia di Chironico, tra l’altro leghista. Gianni fa di tutto per piacergli, partecipiamo al suo sconforto nel non venire apprezzato come vorrebbe. Che amarezza.