In vent’anni di giornalismo non ho mai avuto bisogno di nascondermi e di fronte a denunce anonime mi sono sempre imposto di conoscere la vera identità dell’interlocutore, prima di approfondire. Credo che sia il minimo per rispetto dell’etica, del lettore e della propria coscienza. Esistono forme di giornalismo “anonimo”, inchieste mascherate che rispettano regole del gioco e norme ben precise. Se ne fa un uso limitato e solo quando non sarebbe possibile ottenere informazioni di interesse pubblico usando altri sistemi.
Ma i troll e i fake che giocano sporco non lo fanno per difendere la libertà di espressione. Sanno bene che mettendoci la faccia e il nome dovrebbero pagare le conseguenze per bugie, violenze verbali e infamità che diffondono. Non è come farsi quattro risate per una battuta sarcastica fatta bene. È bullismo, è un sistema organizzato, è il sospetto che a muovere i fili ci siano pochi burattinai interessati a generare il caos. Giustificandone l’esistenza asseconderei pure l’imbarbarimento dei modi e dei costumi – IO DICO NO.
Antonio Civile