Questa mattina Il Caffè ha sganciato una bomba niente male: stando a Libero D’Agostino, infatti, “nei corridoi di palazzo” c’è chi ha fatto partire la voce che “Gobbi da circa un anno sapeva che la Argo 1 era finita nel mirino dell’antiterrorismo italiano e della polizia ticinese per la presenza tra i suoi dipendenti di un presunto reclutatore dell’ISIS”. Il domenicale la volge all’interrogativo, ma il senso è questo. Sempre secondo il pezzo del domenicale c’è chi sospetta che Gobbi in verità sapesse tutto questo, ma che se ne sia fregato abbondantemente per lasciare che “la bomba Argo 1 scoppiasse in casa PPD”.
Fiorenzo Dadò ha affidato a Facebook il suo sdegno, affermando che “quanto scritto oggi dal Caffè è a dir poco inquietante”. E ha ragione. Questo è un dietro le quinte, un retroscena come ce ne sono su ogni giornale. Il problema, però, è che il dibattito – anche e soprattutto per colpa di una classe politica non all’altezza – è sceso a un punto in cui non basta un’alzata di spalle, non basta l’oretta che Beltraminelli ha passato davanti al Gran Consiglio, non basta che Gobbi si definisca “furibondo” per lo scandalo dei permessi, scandalo che oltretutto ogni giorno che passa si arricchisce di novità non proprio deliziose.
Norman Gobbi nell’inverno del 2015 a Palazzo Federale non ci è andato in gita, ma perché candidato al Consiglio federale. È suo preciso dovere, per il ruolo che ricopre e per quello che ha rischiato di coprire, rispondere. Ministro Gobbi, sono vere le voci che girano e che sono state riportate dal Caffè? È vero che lei fosse a conoscenza dell’imbarazzante situazione dentro Argo 1? Conviene che se tutto questo fosse vero la sua posizione di “ministro della polizia” sarebbe insostenibile?