L’Esposizione Internazionale delle Arti di Parigi del 1937 è passata alla storia per la sua forte politicizzazione. Siamo a ridosso della seconda guerra mondiale, i padiglioni delle varie nazioni fanno a gara, come tutt’oggi, a mettersi in evidenza e ad offrire qualcosa meglio degli altri. Per un caso del destino il padiglione della Germania nazista è dirimpettaio a quello dell’Unione sovietica di Stalin. I due maggiori totalitarismi d’Europa si guardano in faccia. Albert Speer sfida Boris Iofan, l’aquila imperiale sfida l’operaio e la contadina che impugnano falce e martello. Per l’Italia fascista fu chiamato Marcello Piacentini, per la Finlandia ci pensò Alvar Aalto, l’olimpo dell’architettura moderna concentrato in un migliaio di metri quadrati. Per la Repubblica Spagnola il realizzatore del padiglione fu Josep Luis Sert, anch’egli architetto di fama, ma che dovette lasciare le luci della ribalta all’opera di un altro grande artista iberico che per l’occasione dipinse una tela dalle metrature imponenti: tre metri e mezzo di altezza per 7 metri e 77 centimetri di lunghezza. Nessun colore, solo un enorme scala di grigi, nessuna forma armonica, solo caos e disordine. Il dipinto pare un presepio scomposto, straziato da morte e distruzione. Una donna piange straziata il suo bambino morto, in un misto tra la Madonna della natività e la Pietà michelangiolesca, un toro gioca la parte del bue, un cavallo che calpesta cadaveri sembra ragliare agonizzante e i pastori più che misericordia e glorie sembrano alzare le mani al cielo in segno di terrore e paura. A posteriori tutto pare un triste preludio a ciò che capiterà tra poco più di due anni, ma che in realtà in Spagna è già iniziato da tempo, con l’imperversare della guerra civile e il sostegno dei regimi fascisti al generale Francisco Franco. Pochi se ne preoccupano, ma in Spagna si stanno davvero facendo le prove generali per la più grande tragedia del mondo. Il dipinto scosse l’opinione pubblica e non solo, l’arte moderna era entrata prepotentemente nella vita politica e sociale del momento.
Un giorno l’artista, ormai da anni residente a Parigi, era in visita al padiglione; lo incontrarono degli alti funzionari tedeschi e riconosciutolo lo vollero punzecchiare: “ È opera sua questo obrobrio?” chiesero i gerarchi. L’artista li sfidò con sguardo severo e fiero: “No signori, questo obrobrio è opera vostra.”
Il suo nome? Pablo Picasso L’opera? Guernica.
Per volontà di Picasso, Guernica non tornerà in Spagna fino alla fine del regime franchista. Oggi una copia del dipinto è custodita al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite in segno di monito ai potenti della Terra. Non possiamo che augurarci che un giorno qualche presidente, ambasciatore o funzionario venga nuovamente stregato da quell’obbrobrio e decida di non perseguirne altri.