Un anno fa, al risveglio abbiamo scoperto che i primi exit poll e le prime proiezioni erano sbagliate: il Regno Unito aveva deciso di uscire dall’Unione Europea. Gli anti tutto stapparono champagne, pardon, birra festeggiando. I filo europeisti iniziarono a far di conto e capire cosa sarebbe successo. Un anno dopo, a che punto siamo?
Theresa May, che era schierata per il remain, dopo aver accoltellato alle spalle Boris Johnson e Micheal Gove ha sostituito Cameron al 10 di Downing Street, iniziando subito a parlare di “hard Brexit”. Dura e pura, fuori. La sua maggioranza parlamentare, però, non era robusta. Anzi, al proprio interno contava anche numerosi conservatori contrari alla Brexit. Sicché, una May che si credeva Thatcher – pia illusione – dopo averlo negato per mesi ha convocato le elezioni anticipate. Ed effettivamente aveva il vento in poppa: quale occasione migliore per rimpolpare la propria maggioranza e avere un po’ più di forza nelle trattative con Bruxelles? La mano è stata giocata male. Da un lato, May si è dimostrata pessima candidata e portatrice di un programma, anche riguardo al fronte interno, troppo rigido (vedi Dementia tax), dall’altro la concorrenza si è fatta vivace. Corbyn, al netto dei 56 seggi presi in meno di May, ha fatto breccia tra i giovani; l’inossidabile Tony Blair ha visto premiata la sua strategia di cercare tra le candidature di ogni seggio la persona più aperta a una “soft Brexit” e votare quella. Theresa May è così passata da una maggioranza risicata a una inesistente, che potrà trovare solo alleandosi con degli estremisti di destra e antiabortisti nordirlandesi.
In questo discorso la Brexit e il suo sviluppo sono stati fondamentali. Gli ambienti economici, imprenditoriali e industriali, la società civile, elettori accortisi troppo tardi delle balle raccontate da Johnson e Farage durante la campagna elettorale, sono stati gli attori principali del tracollo di Theresa May e del suo progetto di andare a Bruxelles a gestire le trattande secondo i propri desideri. Si sono accorti che l’industria le sovvenzioni non le avrà in eterno, e prima o poi molta parte delocalizzerà; si sono accorti che i milioni di sterline da deviare dall’UE al Servizio sanitario nazionale non sono mai esistiti e mai esisteranno, anzi, la sanità annaspa ogni giorno di più e non certo per colpa dell’UE; nelle campagne si sono accorti che, oltre non sapere come è fatto fisiognomicamente uno straniero, senza UE spariranno i fondi all’agricoltura con molti auguri per tutti. E a completamento del tutto, non va dimenticato come le trattative con un’Unione Europea rinforzata da Macron e dalla sconfitta dei populismi in Olanda, Spagna e Francia si facciano sempre più complicate, e vedano May sempre più isolata.
Il vero problema della Brexit è che una campagna elettorale intossicata dalle balle dei leavers ha portato ad affrontare il dibattito dopo il voto, non prima. Con tutte le conseguenze e le incertezze oggi sotto gli occhi di tutti.