Come spesso accade, l’essenziale passa in secondo piano. Così è successo che, in mezzo a tante chiacchiere, sia passata in sordina l’unica dichiarazione importante uscita dal recente G20 di Amburgo.
Il riscaldamento globale va combattuto con forza, perché è una delle principali cause dei fenomeni migratori cui stiamo assistendo. Lo ha detto Emmanuel Macron, e il fatto che suoni come rivoluzionaria un’argomentazione che in fondo non lo è dà la misura della situazione. Già nel 2010 uno studio di Maplecroft affermava come in breve tempo il frutto del riscaldamento globale e della desertificazione porterà a migrazioni mai viste. Studi scientifici ed analisi geopolitiche hanno dimostrato come la desertificazione abbia portato carenza di beni di prima necessità aumentando corruzione, fragilità socio-politica e, va da sé, guerre e ascesa dei ricchi signori delle armi.
Sempre più aree del Corno d’Africa, del Pakistan, del Bangladesh – per fare solo alcuni esempi – sono confrontate con l’incremento delle temperature e gli stravolgimenti del paesaggio. Intere zone dove magari prima un fiume garantiva approvvigionamento di acqua, o dove una volta c’era tranquillità e ora tifoni o piogge torrenziali distruggono ogni coltivazione quando non le abitazioni, oggi sono abbandonate da gente in fuga.
Il pressapochismo con il quale viene trattato il tema del riscaldamento globale e l’insostenibile posizione degli Stati Uniti riguardo agli Accordi di Parigi sono il risultato di anni e anni passati a sottovalutare la questione, a non preoccuparsi di accadimenti e fenomeni lontani migliaia di chilometri. E come riguardo alla vendita delle armi, come riguardo alle “guerre giuste”, come riguardo ai finanziamenti a figure poco raccomandabili oggi capiamo l’errore commesso. Errore che dovrebbe essere d’insegnamento, ma che a ben guardare gli attuali orientamenti non sembra verrà affrontato né nel modo giusto, né con rapidità.
Intanto la gente continuerà a scappare, intanto in zone d’Europa, non del Sudan, si raziona l’acqua, intanto noi continueremo a lamentarci. Ma di cosa? – verrebbe da chiedersi.