Fabio Pontiggia, come sempre gli accade quando si parla di Spagna, l’indomani del referendum sull’indipendenza della Catalogna ha scritto molte cose giuste. Particolarmente condivisibile, soprattutto, è stata la sua grande indignazione nel leggere i numeri – al netto delle truffe di chi ha documentato di aver votato 4, 5, 6 volte – del referendum di domenica e di quello del 2014.
In quell’occasione, lamenta il direttore del Corriere, solo 1.9 milioni sui 5.5 milioni di aventi diritto al voto manifestò la volontà di andare avanti con l’indipendenza. Anche domenica una minoranza, chiassosa e festante ma pur sempre minoranza, ha ribadito che Catalunya no es España. Non si può che concordare con Pontiggia, c’è un problema democratico alla base: se su questioni così importanti le decisioni, ben inteso attraverso referendum solo consultivi, vengono prese da minoranze la legittimità è poca. Usando il buon senso, non si scappa, è così, è proprio così. Fermandoci un attimo a riflettere, però, inizia a insinuarsi un tarlo. Perché? Perché in Svizzera funziona esattamente così, e su qualunque argomento.
Quando siamo chiamati a esprimerci su referendum e iniziative, si grida al miracolo quando vota il 50% degli aventi diritto. Partendo da questo, e siamo generosi, 50% medio dobbiamo considerare come non siano pochi i casi – 9 febbraio e l’ultima sulla SSR in primis – che le decisioni vengono prese per un pugno di voti. In quei casi, numeri alla mano, decisioni fondamentali sono state prese dal 26-27% degli aventi diritto.
Giusto? Sbagliato? Perlomeno curioso. Ci si riempie la bocca di democrazia, di sovranità e volontà popolare quando tutte le decisioni vengono prese da minoranze. In Catalogna, come in Svizzera, come in Ticino. E prima o poi, con questo vulnus, dovremo tutti fare i conti.