Carlo Luigi Caimi (PPD) lo aveva detto due anni fa. La LIA era una legge rischiosa da applicare e prestava il fianco a problemi e ricorsi. Unico in Gran Consiglio, aveva votato contro la legge adottata dal Parlamento, poi difesa da Zali. Caimi, poi diventato giudice supplente al tribunale d’appello, lo aveva ribadito sui media.
L’allora stizzito Claudio Zali lo aveva addirittura segnalato al Consiglio della Magistratura scrivendo:
“È come quando i pensionati vanno sui cantieri, per sostenere che quando lavoravano loro le cose venivano fatte meglio. Con la differenza però che il pensionato in questione forse si è dimenticato che ha lasciato il parlamento perché nel frattempo è diventato giudice supplente del Tribunale d’appello. I giudici devono fare silenzio, per compito istituzionale. Devono scrivere le sentenze quando richiesto, non le devono sputare su facebook o sui giornali.”
Oggi la LIA, in seguito alla sentenza del TRAM e ai ricorsi della COMCO (Commissione per la Concorrenza) rischia addirittura di dover essere ritirata, e di dare dannatamente ragione a Caimi.
Diamo al Gran Consiglio il beneficio della buona fede. Sicuramente i parlamentari hanno votato la LIA convinti che avrebbe potuto migliorare le condizioni dell’edilizia e dell’artigianato locali. Stava a Zali, ricordiamo, ex giudice, e ai giuristi del DT valutare l’applicabilità della legge.
Oggi, dopo due anni, possiamo solo dire che Caimi aveva regione e stupisce non poco che Claudio Zali, anch’esso ex giudice, e i professionisti del Cantone, non avessero scorto i rischi macroscopici a cui era sottoposta la legge, e tutto questo a prescindere dal malcontento che aveva creato per l’eccessiva burocrazia e per i costi esosi a cui erano sottoposti gli artigiani. Anche noi lo diciamo da mesi: è vero che la politica deve agire, ma è anche vero che spesso si ostina a proseguire su strade sbagliate fregandosene dei segnali e troppo spesso ignora altre misure magari più incisive ma che vanno a toccare interessi particolari.
I mezzi ci sono, ma bisogna smetterla di cercare soluzioni facili e accettare che certe aziende, soprattutto quelle grosse e le cui magagne sono a conoscenza dei sindacati e di altri attori vadano punite. Duramente.
Anche se sono tenute in piedi dagli amici degli amici.