Del Natale ricordo che, da bambina, in piedi su una sedia, dovevo recitare una poesia a fine pranzo. Non sapevo ancora leggere ma mamma, paziente e caparbia, me la faceva memorizzare nel periodo precedente in modo da non sbagliare. In piedi a quella sedia, vergognandomi come una ladra, recitavo ogni anno la poesia e ricevevo un applauso, sazio ma sincero. Anche quando, raffreddata e col muco, non si era capita una parola.
Ricordo, del Natale, i bocconi che zia Flo faceva cadere dalla tavola nelle fauci del voracissimo cagnolino della nonna che, a fine festa, giaceva puntualmente di tre quarti, boccheggiando, col ventre teso come una zampogna, sul punto di esplodere.
Del Natale ricordo che lo zio arrivava col peluche di una scimmia. Ne avrò ricevuti quattro o cinque, per altrettanti Natali di fila. Sempre scimmie. Di forme e colori diversi, ma sempre scimmie. Non mi serviva chiedermi che animale fossi per mio zio.
Non c’è Natale senza l’immagine di papà che stende il suo spesso strato di salsa al mascarpone su una bella fetta di pandoro, dopo aver divorato persino alcuni commensali.
Natale è e sempre sarà i mille pacchettini della mamma, che è da agosto che stipa “pensierini” negli armadi e finalmente può vedere qualcuno che scarta mille piccole sorprese, con l’incanto che solo i veri generosi hanno.
Del Natale ricordo che anche io, da sempre, amo fare regali e guardare la faccia di chi li scarta, sperando di non scorgere la delusione.
Natale è il ricordo di chi non c’è più, ma a tavola ha sempre un posto, con la certezza di stringere chi c’è per non lasciarlo più. Senza stringerlo troppo, però, sennò esplode.
Francesca Margiotta