Nel 1745 Carlo Goldoni compose la sua celebre commedia “Arlecchino servitore di due padroni” con protagonista Truffaldino che, fedele appunto a due padroni, per non svelare il suo inganno e perseguire il suo unico intento di mangiare a sazietà, intreccia la storia all’inverosimile, creando solo equivoci e guai.
Quasi trecento anni dopo, la Commedia dell’arte, caratterizzata dalla recitazione improvvisata e dall’uso delle maschere, si traspone dai teatri goldoniani alla politica. Perché la realtà supera sempre la fantasia, soprattutto quando si tratta della campagna elettorale italiana.
La maschera di questa commedia è Giacomo Mancini, calabrese candidato del Pd nel collegio uninominale di Cosenza alla Camera. E fin qui tutto nella norma, se non fosse che Mancini è il primo dei non eletti in Regione Calabria per Forza Italia dopo le elezioni regionali del 2014. Quindi il 4 marzo prossimo potrebbe ritrovarsi deputato con Matteo Renzi e allo stesso tempo consigliere regionale con Silvio Berlusconi, prendendo il posto dell’ex compagno di partito Fausto Orsomarso, oggi capolista per Fratelli d’Italia.
Intervistato da Repubblica, Mancini cerca di spiegare questa anomalia che lo rende simile ad un novello Giano bifronte della politica italiana. Mancini lamenta innanzitutto di essere vittima di un “manganellaggio sistematico e quotidiano” sui social network. Emblematica la sua foto elettorale in cui viene ritratto sia con il simbolo del PD, sia con quello del Centrodestra, come se fosse effettivamente candidato contemporaneamente con due simboli. In realtà si tratta di una anomalia, non vietata da alcuna legge, che permette al primo dei non eletti in Regione di fare campagna elettorale per la Camera anche con un altro partito. Quindi, piuttosto la colpa non sarebbe di Mancini, ma di una vacanza di regolamentazione in materia…E infatti è al PD che Mancini vuole restare fedele, perché egli si definisce convintamente socialista. E anche quando si occupava in qualità di assessore del bilancio della Regione Calabria, bilancio che vale 9 miliardi di euro, Mancini afferma di aver posto in essere politiche di sinistra. E, rimarca giustamente fiero, ed è forse questa la vera anomalia della vicenda, di non essere mai stato destinatario di alcuna informazione di garanzia, né indagato dalla magistratura.
Sì, ma come sbrogliare la matassa in caso di mancata elezione alla Camera e “ripescaggio” in Regione? Semplice, Mancini promette di passare da Forza Italia al PD, perché è quello il suo partito di riferimento al quale rimarrà fedele anche in futuro.
Situazione curiosa quella di Giacomo Mancini che, molto probabilmente, o alla Camera o in Regione il 5 marzo festeggerà comunque, essendo stato, come Arlecchino, fedele a due “partiti. E che dimostra che in fondo la politica di oggi non è più convinzione o militanza, ma calcolo delle opportunità.