Sono uno dei migranti che ha tentato di attraversare il mare Mediterraneo, pensando unisse due continenti. Invece è confine che divide, fossa invalicabile piena d’acqua salata e di cadaveri.
Il cartello col mio nome me l’ha dato uno del Coordinamento delle associazioni che a Como fanno qualcosa per noi migranti. Anzi, per quelli che in qualche modo ce l’hanno fatta. Non come me.
A Balerna c’ero per ricordare un altro migrante che non ce l’ha fatta: Youssouuf Diakite, morto folgorato un anno fa sul tetto di un bellissimo treno svizzero. Aveva 20 anni e sognava un futuro. Youssouuf è rimasto per molti giorni Senza Nome. Chi cerca di scappare da miseria, guerre e persecuzioni è solo un migrante, senza neppure la dignità di un nome. Oggi Youssouuf un nome ce l’ha, scolpito su una lastra di granito ticinese nel cimitero di Balerna, dove è stato sepolto.
Di me non so niente. Non so perché ho lasciato l’Africa, la mia famiglia, e come sono morto a soli 30 anni. D’altra parte non interessa a nessuno. Finito il ricordo di Youssouuf e detta una preghiera sulla sua tomba, ho restituito il cartello con la mia foto. E sono tornato ad essere un sessantenne giornalista di Mendrisio.