L’ empatia è una scocciatura vera.
È una di quelle caratteristiche innate che se ce l’hai bene, sennò meglio, ed è definita qualità dai più, da chi non ne è portatore secondo me.
Se sei empatico ti “empi” delle emozioni altrui, belle o brutte che siano.
Ieri pomeriggio mi è successa una cosa: ero in un bar del centro con la mia amica Saadia a bere un caffè con tortina al limone quando a un certo momento al tavolino vicino si è seduto un uomo di mezza età, se fosse stato il personaggio di un romanzo sarebbe stato il mediocre Charles Bovary.
Poco dopo è entrata una signorona, anch’essa di mezza età, vestita di nero con un golf rosa chiaro, di quel colore che vorrebbe dare luce a un volto che di suo non risplende più da tanto, un volto di rughe profonde che sottolineano una profonda solitudine.
La signorona ha guardato in direzione di Monsieur Bovary e si è seduta al suo tavolo, accanto al nostro.
“Ciao, io sono tizia, ciao, io sono Charles… come stai?…”
A quel punto l’ho sentito dritto allo stomaco un senso di disagio e imbarazzo che raramente mi è capitato di sentire prima. Erano 2 sconosciuti che si incontravano in un appuntamento al buio, quelli che organizzi su certe app del telefono.
Loro non si guardavano negli occhi, chiusi in un silenzio denso di : “oddio ma è così? Madonna la pensavo diversa… ma che è questo? E ora che facciamo? Di che parliamo?”
Io intanto stavo sempre peggio vittima dell’emozione imbarazzata e sotterrante della mia vicina di tavolo. Lo giuro, sentivo il disagio neanche fossi stata io al suo posto. Così non ce la facevo, non sopportavo oltre.
Ma quando Charles si è messo deliberatamente a fissarmi con sguardo bavoso è stato troppo.
Al disagio di lei si è sovrapposto il mio senso di schifo e disprezzo verso l’untuosità del tipo pappagorgioso e sfatto seduto al tavolo vicino.
Mi sono alzata e ho chiesto il conto infinitamente triste per quelle rughe che in 10 minuti sedute in un bar avevano perso tutta la loro dignità.
*ausiliaria di cura