Se la madre degli idioti è sempre incinta, le legioni di imbecilli del Web non vanno mai in licenza premio. E non si fermano di fronte a niente, neanche al cospetto di un uomo di cultura che lotta con la morte, reo di aver osato contestare Matteo Salvini e dunque, nella loro logica fetida e purulenta d’odio, meritevole di morire.
Sono migliaia gli insulti rivolti ad Andrea Camilleri dopo il malore che lo ha colpito nei giorni scorsi, un fiume in piena di fango livoroso nei confronti del “papà” del commissario Montalbano: l’espressione più pura dell’odio per chi, oggi, osa negare il Sacro Verbo del Capitano, analoghi a quelli rivolti di recente a Michela Murgia (leggi qui)
Il discorso è più serio di quanto sembri, e va oltre ogni considerazione sul proliferare dei cosiddetti analfabeti funzionali e degli haters: perché è uno schema che si ripete ormai di consueto, innescato molto spesso dallo stesso Salvini nei suoi innumerevoli interventi social. II Capitano addita l’untore, la folla accorre per il linciaggio virtuale, a volte, ormai, anche in modo autonomo.
Siamo oltre lo squadrismo fascista, sfioriamo quasi la lesa maestà. Meglio (o peggio, più che altro), siamo quasi di fronte a veri e propri processi per eresia, al tacciare di blasfemia chiunque osi criticare l’Ayatollah Milanese, il Profeta Padano. Quello per Matteo Salvini è ormai una specie di culto profano, quasi lovecraftiano nell’orrore che genera, in chi ha ancora un minimo di raziocinio, la cieca sottomissione dei fedeli: una sorta di teocrazia bigotta mascherata da consenso elettorale e mediatico.
È una vera e propria jihad quella a cui i fans del sedicente Capitano aderiscono: il Mullah Salvini declama dal suo minareto social, e i fedeli partono a caccia dell’infedele contestatore, in un grottesco paradosso per chi proprio nell’Islam e nella sua versione politica vede un nemico ma finisce per adottarne metodi e tecniche di indirizzamento degli umori della massa.
L’abbiamo detto e lo ripetiamo ancora: serve un argine al dilagare dell’odio in Rete, occorrono strumenti legali per perseguire ciò che non sono libere opinioni, ma veri e propri incitamenti alla violenza: perché prima o poi si passerà dal web al reale, e allora sarà troppo tardi.