Una quarantina di morti e almeno il doppio di feriti. È questo il bilancio del bombardamento del centro di detenzione per migranti di Tajoura, alla periferia di Tripoli. È accaduto tra martedì e mercoledì nel corso di un attacco aereo. Il governo di Serraj, riconosciuto dalle Nazioni unite, ha subito fatto sapere che dietro a quest’azione ci sarebbero le milizie del maresciallo Khalifa Haftar. Da tempo la città libica è un campo di battaglia. Un portavoce dell’esercito di Haftar ha però negato un suo coinvolgimento nell’operazione volta alla conquista di Tripoli.
A prescindere da chi sia il mandante, si tratta comunque della cronaca di una strage annunciata. Della vergogna di un’Europa che ha deciso di affidare alla Libia, a un Paese dilaniato da una guerra civile, la gestione dei migranti. Rinchiusi in strutture fatiscenti e in condizioni il più delle volte disumane. Decine d’indagini condotte dalle organizzazioni umanitarie riguardo allo stato dei migranti all’interno dei centri di detenzione, riferiscono di violenze fisiche e psicologiche, di denutrizione, di condizioni igieniche allucinanti e del traffico di uomini e di donne in cui è coinvolta la stessa guardia costiera libica incaricata di bloccare il flusso di migranti nel Mediterraneo.
Così, di fronte a tutto questo, di fronte a una situazione che da tempo si protrae per inerzia o peggio, c’è un’unica domanda che mi assilla. Che torna tutte le volte. Ma quanti morti ci vorranno ancora? Dopo gli ultimi 40 e le migliaia di affogati in mare, quanti ce ne vorranno ancora perché le cose finalmente si chiariscano e ci si regoli di conseguenza? Perché un costo, in vite umane, c’è sempre. Che siano sei milioni di ebrei o tre disgraziati che vengono investiti sulle strisce di un passaggio pedonale illuminato male, poco cambia. Ciò che conta è invece la capacità di saper agire di conseguenza. La volontà di farlo. Di rimediare alla barbarie. A questa immane mattanza.
Quest’anno, un migrante su quattro, di quelli che hanno tentato la traversata su mezzi di fortuna, è morto in mare. A giugno la guardia costiera libica ha intercettato e riportato in Libia 1544 persone. Alcune di queste sono finite proprio nel centro di Tajoura. Nelle scorse settimane poi, quando la Sea Watch 3 del capitano Carola Rackete attendeva di poter sbarcare a Lampedusa, qualcuno che ben conosciamo le ha intimato più volte di tornarsene indietro, a Tripoli, città che le aveva accordato la sua accoglienza. Una città in guerra da anni dove si bombardano i centri di accoglienza. Oppure dove i migranti muoiono per le violenze e le torture subite. Smettiamola perciò di farci raccontar balle come quella dei “porti sicuri”. Basta solo la volontà di farlo. Basterebbe un briciolo d’umanità. O quanti morti ci vorranno ancora?