A due anni dalla sconfitta dell’ISIS e a 16 anni dalla disastrosa invasione statunitense del 2003, l’Iraq si trova in condizioni politiche ed economiche miserevoli.
Martedi primo ottobre, a Baghdad sono scesi in piazza Tahrir migliaia di cittadini esasperati, studenti universitari e giovani laureati, per protestare contro la disoccupazione, la corruzione dilagante nelle istituzioni, il deterioramento delle condizioni di vita, il malfunzionamento dei servizi, il rilento processo di ricostruzione e la povertà. Velocemente le proteste si sono estese fino al sud del Paese, nelle zone a maggioranza sciita, tra cui Najaf, Karbala, Bassora, Nassiriya e Al Davaniya.
I cecchini all’opera
In questi primi 7 giorni della rivolta le forze di sicurezza e i cecchini hanno ucciso oltre 120 manifestanti ferendone più di 6000 di cui circa 1200 appartenenti alle forze di polizia.
È una delle maggiori contestazioni contro il governo di Adel Abdul Mahdi, dall’inizio del proprio mandato avvenuto nel mese di ottobre del 2018. La rivolta non è stata organizzata da nessun partito politico, ma rappresenta la continuazione di quanto accaduto diverse settimane fa a Bassora.
L’inarrestabile smania dei rivoltosi ha costretto il primo ministro a presentarsi in TV e, in un discorso alla nazione, ad invocare calma e moderazione rivolgendosi ai manifestanti. Il premier ha usato toni concilianti, accettandone le “legittime richieste”, ha assicurato di rispondere alle loro preoccupazioni avvertendo contemporaneamente che non vi sono “soluzioni magiche” per risolvere gli annosi problemi che attanagliano la nazione e che le le impediscono di risollevarsi dopo anni di conflitti e violenze.
I religiosi all’attacco
A seguito di questo discorso gli avversari politici hanno subito cercato di metterlo in difficoltà di fronte alla popolazione. Moghtada Sadr, il potente leader religioso politico sciita, ha chiesto le dimissioni del governo e le elezioni anticipate, congelando la partecipazione dei suoi deputati ai lavori del parlamento (senza i voti del suo partito il governo non ha la fiducia dell’Assemblea Nazionale). Poche ore prima di Sadr era già intervenuto l’Ayatollah Al Sistani, massima autorità clericale sciita dell’Iraq (con un profondo seguito anche tra gli sciiti iraniani), che ha riconosciuto le ragioni dei manifestanti invitando il governo ad “agire con la politica invece di reprimerli violentemente”.
Vivere con meno di 7 dollari al giorno
Nonostante l’Iraq sia la quarta nazione al mondo per riserve petrolifere, il 23% dei suoi circa 40 milioni di abitanti vive con meno di 7 dollari al giorno; una famiglia su 6 soffre di gravi carenze alimentari in condizioni di estrema povertà, senza una adeguata assistenza sanitaria e senza istruzione, privata di qualsiasi sevizio compresa l’elettricità.
Secondo la World Bank, la disoccupazione giovanile raggiunge il 25% e, non da ultimo il Paese ha raggiunto il punteggio di 18 su 100 nella lista dei Paesi più corrotti al mondo. A causa dell’alto livello di corruzione circa 450 miliardi di dollari di fondi pubblici sono scomparsi dalla caduta di Saddam Hussein nel 2003, ovvero 4 volte il bilancio dello Stato, e più del doppio del PIL del paese.
Una situazione difficile
Da tener presente che ci sono 1.7 milioni di sfollati, 3 milioni di disabili e 1.5 milioni di orfani di cui il governo deve farsi carico.
Dal punto di vista internazionale l’Iraq si trova in una posizione difficile; deve infatti conciliare i rapporti con gli USA e con il vicino Iran, Nel febbraio scorso Trump aveva dichiarato di lasciare le truppe in Iraq per “sorvegliare l’Iran”. Vista da Teheran invece, l’alleanza con Baghdad è importante ai fini della creazione di un “corridoio sciita” che unisca i due Paesi con la Siria e il Libano, sede degli Hezbollah.
E se l’Iran avesse un un filo diretto con qualcuno interessato a cavalcare le proteste?
Proprio oggi il parlamento avrebbe dovuto riunirsi, in una seduta di emergenza, per discutere il taglio del 5% degli stipendi dei funzionari delle amministrazioni statali a favore delle categorie più deboli; ma nessuno si fa illusioni tra i giovani in rivolta.
Certo è che il premier A.A.Mahdi non ha la “bacchetta magica”, ma le armi si, e con quelle cerca di reprimere i manifestanti.