Sabato ricorreva l’anniversario del diritto di voto alle donne ticinesi (leggi qui) ed è per questo motivo che vi vorrei raccontare i miei ricordi della prima volta in cui le donne si sono recate alle urne. Era per tutte quante una domenica luminosa e tutte avevano tirato fuori dall’armadio il vestito buono per partecipare all’evento che tanto avevano atteso. Andare a votare.
Nel silenzio della sera
Era il 1971 e, in occasione della prima votazione, molte donne erano poco informate in materia di politica, anche perché il tempo a disposizione era poco, le faccende di casa da svolgere, molte, e i mariti restii a dar loro informazioni. Le sere prima della votazione le donne si trovavano nella cucina di una o dell’altra, si scambiavano informazioni sui candidati e le candidate. Sembravano dei raduni di moti carbonari e gli incontri avvenivano quasi sempre di sera, quando nella casa regnava il silenzio, gli uomini erano in salotto a leggere e i bambini in camera a fare i compiti o a dormire. Io né uno né l’altra, ascoltavo con la porta socchiusa, non capivo bene cosa stesse succedendo, ma non volevo perdermi nulla e mi piaceva pensare di far parte di questa grande mobilitazione, in un momento storico importante dove le donne potevano finalmente esprimersi e addirittura scegliere di eleggere una di loro in Parlamento.
Il cappottino rosso
Ero bambina e la prima volta che le donne della mia famiglia, insieme a tante altre, andarono a votare, era una domenica autunnale, e tutte si erano preparate accuratamente. Chi correva a farsi la messa in piega, chi indossava il cappotto nuovo o chi addirittura se l’era fatto fare di panno rosso per l’occasione, in onore della lotta di sinistra, fatta per acquisire un diritto che altri Paesi avevano ottenuto già da diversi anni. Di quella domenica mattina mi ricordo bene il vociferare intenso, l’ecccitazione che si respirava e l’emozione che era palpabile. I colori chiari, il profumo di fresco e il sorriso delle donne, facevano presagire una bella giornata.
L’emozione della prima volta
È stato un grande momento, dopo una lunga attesa, quando hanno dato le loro generalità, riempito la scheda elettorale e fatto scivolare con grande orgoglio la busta nell’urna per le votazioni federali. A quel tempo, i momenti in cui la donna poteva agire in autonomia erano molto rari, basti pensare al codice civile svizzero di quegli anni, dove l’uomo era il capo dell’unione coniugale, la donna assumeva cognome e cittadinanza del marito e le veniva concessa una autonomia molto limitata, in pratica si limitava ai bisogni dell’economia domestica. Ruolo che, però, le poteva essere tolto parzialmente o totalmente dal marito quando essa ne avesse abusato o si fosse dimostrata incapace di svolgerlo. Inoltre, se avesse voluto esercitare una professione, avrebbe avuto bisogno del consenso tacito o espresso del marito. Regole difficili da concepire ai nostri giorni, anche se ancora in uso, più di quel che si pensa.
Società patriarcale e disparità sociale
In quei giorni si respirava tanta solidarietà e la voglia di non sottostare, almeno in quel piccolo ma prezioso momento e nell’intimità del seggio, al volere e alle idee dei mariti. Tutto ciò avveniva in un momento storico dove la donna, in Ticino, guadagnava il 45% in meno dell’uomo e veniva impiegata in professioni con qualifiche inferiori, con minore responsabilità e con meno potere. Alla disparità sociale si sovrapponeva la disparità economica, conseguenza di una struttura sociale gerarchica e di una società patriarcale in cui l’uomo si attribuiva delle prerogative di potere, di superiorità culturale e di maggiori vantaggi economici.
Il Partito del Lavoro
Attorno alla mia famiglia gravitavano uomini e donne dell’allora PdL, e quella domenica del 1971, si intravedeva in loro la commozione del momento e lo sfinimento dopo tanto lavoro. Finalmente era arrivato il momento che per molti anni avevano atteso e nel quale avevano sperato. Il pomeriggio ci si era ritrovati, tutti sintonizzati su Radio Monte Ceneri. un raduno solidale. C’era chi aveva portato le castagne, chi la torta e chi il pane con il salame. E mi ricordo i sussulti a ogni risultato che veniva dato, e i commenti dei cronisti che intervenivano tra un dato e l’altro. E a un tratto un urlo liberatorio ed esclamazioni di meraviglia all’annuncio dei nomi delle prime dodici donne elette in Parlamento. Ce l’avevamo fatta.
Verso l’emancipazione femminile
Le donne vissero il traguardo ottenuto come una tappa verso l’emancipazione femminile. Il Canton Vaud fu il primo Cantone a introdurre nel 1959 il suffragio femminile in materia cantonale e comunale, seguito da Neuchâtel lo stesso anno e da Ginevra nel 1960, segue Basilea Città nel 1966, Basilea Campagna nel 1968 e Ticino nel 1969. Le ultime donne a votare per la prima volta in materia cantonale lo fecero il 28 aprile del 1991 nell’Appenzello Interno. Solo vent’otto anni fa. Il diritto di voto alle donne non è stato che uno dei primi tasselli di quel lungo percorso in salita che ci conduce al processo di emancipazione femminile e che continuiamo ancora oggi a percorrere, senza non poche difficoltà, ricordandoci sempre di non dare mai nessun diritto per scontato.