Terremoto politico? È essere generosi. Quello a cui ha assistito ieri il Ticino è un dannato tsunami. Il centro, composto dal ticket PPD-Liberali, se ne esce dalla stanza dei bottoni, per favorire le ali estreme del Parlamento, quella della sinistra e della destra.
Marina da guerra
Marina Carobbio può ben essere felice, a tenere davvero è stata l’alleanza rossoverde, con comunisti e Verdi che, ricambiando il favore, hanno sostenuto massicciamente la candidata socialista. Un momento storico, la prima donna, la prima socialista, dopo decenni di quasi egemonia liberale e popolare democratica. Nessuna defezione, nessun dubbio. La parola d’ordine stavolta era severa: si vota solo Marina. Basta fare regali ai liberali con l’idea di arginare in qualche modo la destra. No, questa volta i socialisti, i comunisti e i Verdi ci hanno creduto, hanno rischiato e portano a casa un bel peluchone vinto al tiro a segno.
A gioire oggettivamente per ieri sono solo i socialisti. I leghisti, tanto spocchiosi nei confronti di PPD e liberali e che fingono grande gioia, dovrebbero ricordarsi che la loro alleanza, ritenuta tanto naturale rispetto al ticket Lombardi-Merlini, è servita in realtà a mandare un UDC, parte decisamente minoritaria dell’unione, a Berna. E Chiesa lo ha fatto in carrozza, grazie soprattutto alla sciagurata idea di candidare Battista Ghiggia con le sue segretarie, un Ghiggia che senza le faide interne alla Lega e al suo scivolone, ora sarebbe tranquillamente al posto di Chiesa. Un Chiesa che, dopo l’uscita di scena dell’avvocato Battista, era ormai rimasta l’unica possibilità per i leghisti, di mandare qualcuno di vagamente credibile alla Camera alta.
Il declino leghista
La vittoria di Marco Chiesa è a questo punto solo un altro chiodo sulla bara della Lega dei Ticinesi, che perdono definitivamente la possibilità di mandare un loro rappresentante agli Stati.
Se abbiamo comunque assistito alle cantonali a una Waterloo leghista, l’uscita definitiva dagli Stati dei liberali è uno smacco dal quale è difficile rialzarsi, più un knock out che una sconfitta ai punti.
Grande perdente, e si percepiva dal suo nervosismo soprattutto ai dibattiti, Giovanni Merlini insieme però al suo presidente Bixio Caprara. Il ticket tra PPD e liberali, si è rivelato infine un boomerang soprattutto per i liberali, il che sancisce un primato epocale, e cioè l’uscita di scena dalla stanza dei bottoni del centro borghese, che cercava di salvare Capra(ra) e cavoli con un’insana alleanza. Dopo quattro legislature, Filippo Lombardi da signore non si rimette in gioco speculando sui soli 45 voti di scarto tra lui e Carobbio e in casa liberale ci si appresta già a una notte dei lunghi coltelli, con i radicali che chiedono la testa della direzione.
C’è chi vuole la testa di Caprara
Bixio Caprara paga un declino evidente e continuo che ha raggiunto il suo acme con la perdita dello storico seggio agli Stati e sarà effettivamente difficile mantenere la leadership. L’antica battaglia, che vedeva i due storici antagonisti borghesi, contendersi l’agone politico, giunge in questo 2019 al suo epilogo crepuscolare, stabilendo solennemente la fine di un’era. Liberali e PPD sembrano oggi due vecchi cow-boy che cavalcano verso il tramonto, inconsapevoli della fine della frontiera.
A subentrare, fortunelli, ai due neoeletti Carobbio e Chiesa, l’ingegnere Bruno Storni del PS e il presidente dell’Udc ticinese Piero Marchesi.