L’esponenziale crescita delle capacità tecnologiche umane dona a tutti noi tante speranze, ma ci pone di sicuro anche molti dubbi. In un’epoca in cui poteri che in passato ci sembravano divini sono invece a portata di mano, a chi spetta davvero stabilirne i limiti? In Jurassic Park, l’eccentrico personaggio interpretato da Goldblum, un matematico texano esperto della Teoria del caos, proferisce una massima che sembra oggi più che mai attuale: “Ci siamo sempre chiesti se avremmo potuto, ma mai se avremmo dovuto“.
E Splice è una pellicola che tenta di esporre proprio i pericoli che si celano dietro a questo modo di pensare. Un dilemma al centro del film del regista di origini italiane Vincenzo Natali, autore di quel capolavoro a basso budget che è stato The Cube (per fare giustizia nei suoi confronti, va precisato che i sequel non sono assolutamente opera sua). Un film che trae ispirazione dai controversi esperimenti di Irving Weissman, scienziato che tentò di combinare cellule madri con cellule ibride, studiandone i risultati e le implicazioni.
Splice racconta della progressiva e totale perdita di controllo da parte di una coppia di scienziati, Clive (Adrien Brody) e Elsa (Sarah Polley). I due stanno infatti lavorando a un progetto pilota per la creazione di un ibrido composto da DNA umano e animale per conto di una potente multinazionale. Vera star del film è però la creatura stessa (interpretata da Delphine Chanéac), cresciuta in poche settimane fino all’età adulta dai due che saranno costretti a confrontarsi con i risultati di un progetto pilota che si rivelerà incontrollabile.
I comportamenti della creatura, chiamata Dren, e inizialmente trattata con affetto, saranno sempre in bilico tra umano e animale, facendo capire molto in fretta che la coppia non è affatto preparata a crescerla. Un essere bioingegnerizzato capace di cambiare sesso quando ciò è necessario (dono datole dal DNA di una lumaca) che metterà a durissima prova il rapporto tra i due scienziati. La spirale di eventi che si dispiegano in questo vortice conflittuale sfoceranno nel disprezzo e poi in una violenza sempre più carnale, per giungere a un finale che – in linea con un’indole profondamente umana – proverà come l’esperienza vissuta non sia servita a nulla.
Parliamo di un film dal ritmo incalzante, sorretto da interpretazioni mirabili e da un design davvero notevole. La protagonista non umana della storia è infatti stata volutamente disegnata in modo tale da risultare più o meno animale a dipendenza delle sue azioni. Non sarà possibile scollarle gli occhi di dosso per via della sua curiosa bellezza, ma allo stesso tempo non sarà mai facile o possibile “abbassare la guardia” nei confronti di una creatura diversa da noi quel tanto che basta per allertare, anche a giusta ragione, i nostri istinti di sopravvivenza.
Le cupe atmosfere del film donano al film una suspense quasi asfissiante, sfruttando il nostro inconscio per tenerci costantemente in bilico sul palese e imminente disastro. “È in disastro che tutti temono, una nuova specie che gira libera per il mondo”, afferma profeticamente il personaggio interpretato da Adrien Brody. A mio avviso, Splice, riesce a combinare con sapienza l’emotività di un film drammatico, il cupo senso di angoscia di un horror e spunti filosofici di facile comprensione anche per quegli spettatori alla ricerca di qualcosa che non risulti troppo impegnativo o sofisticato.