Hanno aspettato che la tensione per il Covid-19 calasse un po’ e poi sono usciti dal saloon, le mani sul calcio della pistola: “bastardo, nascondevi l’asso nella manica”. Ma i “pistoleros” delle nevi eterne, Urs Näpflin, boss del “Lauberhorn” di Wengen e Urs Lehmann, boss della Federazione Svizzera di sci, erano al massimo due astuti magliari.
Una storiaccia poco svizzera, se ben ricordiamo come eravamo sino a poco fa, che però finisce con un compromesso che più svizzero non si può, con tanto di Governo (Viola Amherd) e di Cantone (Christoph Amman, Berna) attorno al tavolo: il mitico Lauberhorn, agli svizzeri più sacro delle mucche agli indiani, riportato in calendario dopo essere stato cancellato della stessa Federazione Svizzera: un assurdo autolesionismo, come quel tale che scoperta la moglie a letto con il “Milchmann” (il lattaio) si evira con un coltellaccio per far dispetto alla consorte.
Infatti: tanto rumore per nulla, nessuno fra gli addetti ai lavori, (ma non fra il grande pubblico!) aveva creduto che la discesa sarebbe stata tolta dal calendario. E allora? Semplice: Wengen quest’anno è costata 8,7 milioni di franchi: ne recupera 6,5 con entrate varie. Kitzbühel invece esce con un milione di utili: ma gli austriaci possono commercializzare la corsa come vogliono, trattano direttamente con TV e sponsor. Wengen no, perché i diritti sono stati ceduti alla Federazione, che sulle cifre tace, ma alla costosissima discesa concede , pare, 2 milioni, uno in meno di quanto vogliono i bernesi.
La lite, con ricatti e minacce reciproche insolite per lo sport svizzero, si è risolta, anche se i termini dell’accordo saranno noti solo nei prossimi giorni: scommettiamo su una soluzione “rossocrociata”: il milioncino mancante sarà coperto per un terzo dallo Stato, per un altro dal Cantone, il resto dalla Federazione. E Wengen dovrá accettare una maggiore “commercializzazione”: sopra il famoso salto del “Hundschopf” (“testa di cane”) ci sarà un grande arco pubbicitario e si chiamerà magari “Tilsiter”- Sprung, o anche “Barilla” o “Ragusa”- Sprung.
Insomma va a chi paga di più. Certo, perché il “Lauberhorn” di quest’anno nella Svizzera tedesca, ha fatto una quota di mercato dell’82,8%, con un milione e 150000 spettatori, è stato trasmesso in 68
Paesi, e aveva 468 giornalisti sul posto. La pubblicità per la Svizzera è enorme, proprio grazie alla stupenda ripresa televisiva della SSR in una situazione difficilissima: non c’è strada per Wengen, le 22 tonnellate di materiale necesssarie sono portate sul posto con il trenino e con 20 voli d’elicottero. Costo per la SSR: poco meno di un milione, e solo il 15-20% rientra grazie alla pubblicità. Lo sport costa sempre di più: a Wengen siamo passati dai 20’000 franchi del 1960, ai 140’000 del 1971. Nel 2007 eravamo a 6,5 milioni , ora ci avviciniamo ai 9. E i costi esplodono anche alla TV: 51 milioni pagati lo scorso anno sono per i diritti, altri 150 per le produzioni. Cretini questi televisivi, che tra l’altro a Wengen impiegano 22 telecamere più un raffinatissimo drone che permette le riprese aeree: avessero ascoltato il trio di Gandria Quadri/Bühler/Tettamanti i costi sarebbero stati molto più bassi; la TV (Quadri dixit), al giorno d’oggi si fa con il telefonino. Al massimo con 23, e uno piazzato su un drone: e non sono neanche necessari 6 km di fibra ottica, 68 operai e tecnici per montare e smontare per 2 settimane, 1827 volontari e 500 militari per 3 giorni lavorativi!
Sarà dunque la mano pubblica, con contributi e garanzie, a salvare capra e cavoli. La critica maggiore all’accordo verrà dai popolo dei “e nümm a pagum!”. Molte volte hanno ragione, questa no: l’indotto vale il doppio della spesa, circa 15 milioni. A Wengen quest’anno sono saliti 62000 spettatori in 3 giorni. E il CIO molto probabilmente attribuirà alla Svizzera (alla SSR) le riprese in mondovisione dello sci olimpico di “Pechino 2022”. Altra pubblicità impagabile per lo “Swiss Made”. Covid-19 permettendo.