La crisi colpisce anche le casse del Vaticano e Papa Bergoglio decide di ridurre gli stipendi ai cardinali: un bel taglio del dieci per cento per i porporati, e a scalare per gli altri superiori, religiosi ed ecclesiastici.
Il Pontefice toglie la sorpresa dall’uovo di Pasqua sostituendola con un opportuno quanto rosicato gadget, confezionato sulle onde di una crisi incalzante che non sta risparmiando neppure le risorse di San Pietro, giuste giuste ormai per un’utilitaria chiavi in mano, tralasciando le abituali mega cilindrate dai troppi cavalli scarsamente evangelici.
L’azione intrapresa si rivela precauzionale e soprattutto dovuta per “salvaguardare gli attuali posti di lavoro”, messi a repentaglio dalle spallate della pandemia che impone un accorto contenimento della spesa per il numeroso personale della santa Sede.
Coinvolti dalla ventata della spending review risultano pure il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e gli altri Enti collegati e alla limatura delle retribuzioni si aggiunge la sospensione, al momento stabilita per i prossimi due anni, degli scatti di anzianità.
Papa Francesco, come sempre risoluto e determinato nel soppesare i segnali degli alterni grafici delle attività e delle passività ha, papale papale (questa proprio non potevamo risparmiarvela) elaborato la redazione del suo documento auspicando un futuro sostenibile economicamente, considerato il disavanzo che da diversi anni caratterizza una gestione resa ancora più fragile dalla diffusione del Covid -19 che ha inciso negativamente su tutte le fonti di ricavo .
La decorrenza delle limature patrimoniali partirà dal primo di aprile 2021 ed è un gioco da bambini buttare lì la canonica battutina del classico pesce appeso proditoriamente sull’abito talare cardinalizio.
Ci si domanda nel frattempo se calerà anche un minimo colpo di scure sulla miriade di benefici e di privilegi che cascano a pioggia su tanti personaggi religiosi: già nell’ottobre 2014 emergeva la “sintomatologia del paese di Bengodi” in un documento del Governatorato destinato al cardinale George Pell, Prefetto della Segreteria per l’Economia, dove si esplicitavano con giubilo le innumerevoli facilitazioni accordate ai gallonati del clero.
Un vero elenco di succulente opportunità che riguardavano il comparto alimentare, con i prodotti da acquistare presso due fornitissimi spacci beneficiando dello sconto del 15%, e il settore dell’abbigliamento dove l’abbattimento dei costi del vestiario risultava commisurato all’efficacia della lama di una buona ghigliottina.
Ma il benefit più sfacciato schiacciava l’occhio all’acquisto di sigarette con “uno sconto del 20% limitatamente a 200 pacchetti assegnati mensilmente .”
Miriadi di stecche sull’arca del tiraggio universale quasi a far presagire la possibilità di contrabbandare anime.
Una nota di chiusura : il fumo è entrato in Vaticano dal 1978 e pare che sia stato il cardinale madrileno Vicente Enrique y Tarancon a dare il via alla sigaretta libera nelle infinite sale della Curia romana.
Pare che papa Luciani, fortemente contrario a questo desueto protocollo, abbia sussurrato con uno dei suoi mitissimi sorrisi a un porporato americano, fulgido tabagista :
“Eminenza, lei può fumare. Ma a una condizione: il fumo deve essere bianco!”
Quale sia stata la risposta, non ci sarà mai concesso di sapere.