La ministra Viola Amherd vuole incentivare l’apporto femminile nell’esercito. Nel giorno della donna (la notizia è dell’altro ieri) scopriamo che un’istituzione che dovrebbe essere abolita anche per gli uomini, chiede sempre più l’apporto di donne.
È lascia anche un po’ l’amaro in bocca, scoprire che gli incentivi che la ministra Amherd vorrebbe metter in atto, sono quelli che da decenni vengono chiesti a gran voce per favorire l’ingresso di donne in politica o nell’industria privata (leggiamo da TIO):
“…E al fine di migliore la conciliabilità tra il servizio militare e la formazione, il lavoro o la famiglia, il gruppo di lavoro suggerisce la creazione di asili nido o un sostegno finanziario per l’accudimento all’infanzia. Si parla anche di promuovere il part-time per le cariche professionali in seno all’esercito. I vertici vanno inoltre sensibilizzati su questioni quali la discriminazione, il sessismo, la violenza psicologica e fisica.”
Sarebbe bello se non fosse, come dicevamo, una serie di rivendicazioni che le donne fanno da molto tempo, per favorire l’accesso al lavoro e ai posti di responsabilità o per accedere alla politica di milizia, che troppo spesso cozza, come nel mondo del lavoro, con gli scarsi ausili a favore del mondo femminile o della famiglia.
Non è un appunto a una ministra, che in fondo porta al suo dipartimento una visione favorevole alle donne, ma una critica a un sistema che ha delle plateali aberrazioni al suo interno. Infatti non è logico che sia l’esercito, una struttura che di per se stessa è l’antitesi della vita e dello sviluppo armonioso di un paese, a farsi portavoce di istanze che le donne rivendicano da anni quando non da decenni.
Il punto è quanto abbia ancora senso finanziare un esercito svizzero, non tanto quanto sia il caso di incentivare un maggior apporto femminile a una struttura che oggi conta solo lo 0,9% di presenza femminile al suo interno (leggi qui sotto).
Le critiche sull’esercito e sui suoi costi si ripropongono regolarmente e non solo in seguito alle spese miliardarie per l’acquisto di aerei a reazione che non sono nemmeno in grado di garantire una copertura totale dello spazio elvetico (leggi qui sotto).
È palese che la crisi che colpisce le scuole reclute maschili, che hanno visto negli ultimi anni sempre più potenziali militi optare per il servizio civile e i criteri di arruolamento sempre più severi per evitare problemi assicurativi in seguito a incidenti, chiama a gran voce le donne a tappare le falle. Un sistema di milizia, che richiede un certo numero di reclute e che i “maschi” da soli ormai faticano a fornire.
Un esercito obsoleto, con poche reali capacità di ingaggio, circondato dall’Unione Europea, non ha più motivo, e lo dico da anni, di esistere. Meglio sarebbe optare per una protezione civile performante e ben addestrata, questa sì con un massiccio apporto femminile, una struttura agile e ben strutturata, moderna, in grado di fornire aiuto all’Europa in caso di catastrofi.
Ostinarsi a mantenere un esercito e oltretutto chiamare ora le donne a ricoprire ruoli di guerra, non è la soluzione.