Nel pomeriggio del venerdì santo, è stata trasmessa l’intervista della pacata giornalista Lorena Bianchetti a Papa Francesco.
Una chiacchierata quasi in famiglia, ad uso incontestabile di credenti e di non credenti, di diffidenti e di confidenti, degli ineluttabilmente attenti e dei distratti intermittenti.
Sul finire dell’incontro, in una sorta di una domestica dissolvenza che radunasse i grani del discorso, al Santo Padre è stato chiesto quale poteva essere lo stato d’animo più indicato in una giornata così particolare, dove certo la prevalenza della emozione teologica non escludeva la funzionalità del messaggio pedagocico.
La risposta si è ingigantita e dilatata in un silenzio quasi mistico e di echi biblici, in una pausa interminabile dove le parole se ne erano andate per i fatti loro lasciando lo spazio a un’evidente alta marea di ingombrante turbamento.
Vagavano lo sconcerto ma soprattutto l’affermazione del grandissimo rispetto che si deve alle domande che occorre affrontare tacendo, dentro il perimetro di un inflessibile pudore e di un palpitante ritegno.
Non c’era fastidio in quell’oceanico sciabordio di cose non dette ma irriducibile richiamo nei confronti di una umanità che si diletta a sragionare.
E dentro gli occhi di quell’uomo che cammina e cammina sfidando l’ostruzionismo di una anca sgarbata, sbilanciato come una canna che comunque non cede al vento, anziano senza anni da contare sempre tenacemente concentratro sul pezzo – da un gran pezzo di tempo- mi pareva di cogliere un potentissimo invito alla comprensione del significato reale della conciliazione.
Nella sua astensione al commento si ergeva la necessità assoluta della riscoperta dei coefficienti della libertà morale e civica, della concordia sparpagliata nel baraccone del caos, dell’etica di una spiritualità che disaccumuli l’orribile nebbia delle faziosità, delle violenze, dei fanatismi, delle privilegiate incomprensioni.
E sotto quello zucchetto bianco più mesto del solito, alitava un venticello di ribellione contro il non senso di certi corsi storici , dettati da quella spregiudicatezza che prende a calcioni i valori indispensabili per ogni buona composizione di rapporti.
C’era in Francesco un corpo quasi consegnato alla servitù della malinconia di un’anima trasfigurata dall’abbassamento della scala dei valori universali, ormai ridotta a un coacervo di gradini scalfiti e squinternati, coperti di bucce di banane dove scivolano l’intelligenza aperta e la mirabile armonia del buon senso.