Un diamante! Piccolo ma impagabile: «Una giuria di sole donne» è di una bellezza e di una verità meravigliose. Scritto nel 1917, da una donna: Susan Glaspell.
Ci fosse una enciclopedia del giallo un capitolo intero andrebbe dedicato a «Una giuria di sole donne», di Susan Glaspell. Ci fosse una Bibbia del femminismo, anche qui uno spazio specifico andrebbe consacrato a questo titolo. Scritto nel 1917. Vale a dire in un periodo dove negli States le donne non avevano diritto di voto, dunque nessuna facoltà di far parte di una giuria. Il titolo è ironia e… denuncia!
La storia, come accade quando ci si trova confrontati a tanta bellezza, è semplicissima, quasi banale. Un uomo viene trovato con il cappio al collo nella sua abitazione. L’intervento delle forze dell’ordine, ufficiali e no (lo sceriffo e … il testimone, accompagnati tutti e due dalle consorti), è immediato. Sul luogo del delitto trovano la moglie del morto, seduta e quasi assorta su di una consunta seggiola. Muta e immediatamente sospettata, anche per mancanza di ipotesi alternative. Lei non risponde, non si sa se per via dello shock o per altro. L’indagine non è lunga, in fondo si tratta solo di trovare delle «prove» a supporto della tesi accusatoria. Mentre i due maschi sono al primo piano impegnati nella ricerca le due mogli, la signora Hale e la signora Peters (così si chiamano l’un l’altra, tanto per definire lo status economico-sociale) aspettano. Non si fanno domande, non hanno alcuna voglia di aggiungere un’altra indagine. Solo che, e soltanto ai loro occhi, spiccano dettagli e particolari che l’altezzosità maschile non può vedere. Minuzie, cose da niente che invece fanno la differenza, necessitando però di «letture» alternative quanto inedite. Il succo del caso non viene messo in discussione, la colpevole è nota, però … però con la visione della signora Hale e della signora Peters tutto cambia. Ad esempio la verità, che non è quella dei superficialoni maschi. O ancora, la giustizia, anche lei lontana dalla testa dello sceriffo (a lui basta chiudere il caso). Non da ultimo il cosiddetto bene in rapporto al cosiddetto male: siamo proprio sicuri che tutto sia chiaro, con netta separazione tra le due categorie ? E la storia, assumendo toni e valenze di una psicologia rara, diventa potente, in special modo se rapportata ai tempi della sua stesura (ripetiamolo: 1917 ).
La Glaspell non è brava ma bravissima. Raffinata, capace di trasmettere al lettore una tensione che nel testo non c’è, nel senso che la fa vivere al lettore. E domande di fondamentale importanza: la giustizia e l’equità, la legge degli uomini bianchi e la versione femminile, i dettagli che fanno la differenza e la superficialità frettolosa.
Bello, bello, bello. Se però vogliamo indicare un difetto, beh 12 euro non sono pochi per un superbo racconto di poche pagine. Va bene l’introduzione di Alicia Gimenez-Bartlett e va pure bene la postfazione di Gianfranca Balestra, ma la Sellerio avrebbe potuto fare di meglio. Anche perché non si tratta di una prima edizione in lingua italiana. Questo testo comparve infatti nel 2006, sempre per la Sellerio. E già allora gli 8 euri richiesti imbarazzavano i lettori.
«Una giuria di sole donne», 1917, di SUSAN GLASPELL, ed. Mimesis, pag. 118, Euro 12,00.