Fuori è spuntato il sole, una palla dorata che racconta la primavera, nel rigoglio dell’erba e nel frinire serale dei grilli. In giornate così, le cosa brutte evaporano come l’umidità notturna sotto il sole. Nuvole farinose e impalpabili che si ricongiungono col cielo abbandonando la grevità della terra.
Eppure, la storia di Eros, Angela e Alessandro, deve essere raccontata, perché ricordare, è l’unico modo per dare forse riposo a delle anime che invece, a differenza della rugiada, immagino girovaghe raso terra mentre rosicchiano lamenti di rabbia e dolore. È una storia dei nostri tempi, una storia di reti sociali sfilacciate, di dimenticanze e oblio, una storia che lascia in bocca l’amaro del caffè. Come si dice per scherzo? Amaro come la vita e nero come la morte.
Eros aveva 80 anni, sua moglie Angela 76, il figlio, ormai immobilizzato in seguito a un incidente stradale avuto nei lontani anni 90, 54.
Non una famiglia fortunata. Angela diversi mesi fa aveva avuto un ictus che l’aveva immobilizzata a letto. Ed Eros che ha fatto? L’unica cosa che rimane da fare a un superstite. Occuparsi degli altri, della moglie e del figlio costretti a letto, immobilizzati da una vita che non fa sconti a nessuno, perché in questo, la vita, è di una correttezza spaventosa.
Una famiglia senza amici, con i parenti che ormai non si vedevano più. Non sappiamo perché, sappiamo però che a volte l’incapacità di dialogo scava voragini tra i sentimenti, arando le anime come un vomere d’acciaio e aprendo lacerazioni che non si rimarginano mai.
Eros ha fatto probabilmente quello che ha potuto prima che un malore lo portasse via, a diventare brina sul selciato di dicembre, mentre la gente prepara il natale, una festa di famiglia, di candele, di tepore e comunione. Non così per Eros, che negli ultimi sprazzi di vita avrà pensato con angoscia: chi si occuperà di Angela e Alessandro?
Nessuno.
Li hanno trovati morti tutti e tre, nel freddo dell’inverno, quando il crepuscolo cala repentino e buio tra i mattoni rossi dei meravigliosi borghi marchigiani, perché la famiglia Canullo era di Macerata, ed Eros un imprenditore abbastanza conosciuto . Li hanno trovati nella loro villetta, e all’inizio si pensava a un avvelenamento da monossido di carbonio. Invece no, dopo Eros è toccato ad Angela e Alessandro, morti di fame e di sete, perché nessuno si occupava più di loro, nessuno chiedeva come stessero, nessuno si è preoccupato. Lo ha stabilito la scientifica dopo le analisi di rito.
Erano brave persone? Non lo so, magari erano stati loro stessi a farsi terra bruciata intorno, chiudendosi in quel grumo di dolore e ingiustizia, dove l’unica cosa bella è il morboso accudimento di chi non ce la fa. È un ganglio di chiusura legato alla malattia, alla sofferenza, alla solitudine.
Magari erano solo persone riservate, ma penso anche che coi “forse” e coi “magari” ci puoi fare la minestra, con un gusto sciapo e insulso.
Rimane quello che fa paura a tutti noi. L’abbandono, l’isolamento, scrigni di parole e pensieri non detti che portano distanza Una distanza che è dovere rompere, un silenzio che è giusto frantumare. Perché le relazioni sociali, per noi scimmie nude, sono fondamentali e a parte poche sporadiche eccezioni, sono la vita stessa.
Un gesto, una gentilezza non sempre bastano, ma sono un passo verso la giusta direzione. E in un mondo di guerra, violenza, incapacità di parlare, questi gesti hanno un valore immenso, di resistenza, di ostinato attaccamento alla vita. Lo hanno ora, lo hanno sempre avuto e lo avranno domani, perché nessuno deve mai essere dimenticato.