Quando la guerra in Ucraina è scoppiata, con grande ansia di tutto l’occidente, mai ci saremmo immaginati che una conferenza internazionale per un “piano Marshall”* del paese ex sovietico si sarebbe tenuta a Lugano.
Da una parte la sfida fa tremare le vene dei polsi. E di sicuro, la sinistra storce il naso, visto che non ama queste ritrovi atlantisti e gli assembramenti di esercito e forze dell’ordine. La diffidenza fisiologica ed evolutiva della sinistra per i “gendarmi” fa parte di un retaggio culturale e storico dove le forze dell’ordine, troppo spesso, stavano dalla parte di governo e padronato, pronti a bastonare operai e poveracci che aspiravano solo a una vita più decente.
Dunque qui abbiamo due fattori invisi alla sinistra: un ritrovo di rappresentanti di governi per la maggior parte filostatunitensi e un aggregazione di migliaia di militi tra esercito e polizia. Infatti l’anello di sicurezza che circonderà il palazzo dei congressi sarà blindato e, metaforicamente, irto di baionette.
A pavoneggiarsi per l’evento, ovviamente, altri personaggi che non raccolgono molte simpatie tra il popolo progressista, i due leghisti Michele Foletti, sindaco di Lugano, e il ministro delle istituzioni e capo della polizia Norman Gobbi, che ha già dichiarato: “Accogliere l’URC è il nostro contributo per la pace”. È bello comunque sentire dal nostro ministro, quello con un obice sul pianerottolo del dipartimento, parole di pace.
Con questa conferenza è anche vero che la Svizzera si dà lustro internazionale, e Cassis gongola, visto che come ministro degli esteri è un po’ patron di tutta la baracca. Una svolta ideale per un ministro che non ha brillato, nel poco più di un anno da quando si è insediato, per lungimiranza e capacità diplomatiche.
Storcimenti di nasi a parte, questo colpaccio (perché di colpaccio si tratta) dopo l’adesione all’ONU, porta la Svizzera a vette inimmaginabili solo pochi mesi fa. Il nostro paese e Lugano di riflesso, saranno sotto i riflettori del mondo, un mondo che, ci piaccia o no, sta profondamente cambiando. Di certo non possiamo dire che la Svizzera, stavolta, non abbia colto i segnali del cambiamento e non abbia reagito con prontezza a quest’ultimo. Una nazione di 9 milioni di abitanti collocata in mezzo all’Europa deve, per poter avere ancora un certo potere contrattuale, cambiare in modo intelligente e astuto le proprie peculiarità senza stravolgerle.
La conferenza di Lugano avrà, a dipendenza dei risultati che ne scaturiranno, un effetto sulla visione che ha il mondo del nostro paese. Il rischio di un nulla di fatto è sempre presente, ma una risoluzione decisa e organizzata, avrà di riflesso benefici politici e propagandistici non indifferenti.
La Svizzera, deve ora essere abile a capitalizzare questo peso politico maggiorato, soprattutto nella costruzione di accordi con la UE, per scrollarci di dosso la nomea di paradiso fiscale e di “neinsager”, dove ogni proposta europea viene sistematicamente o spesso bocciata dal popolo in votazione. Una democrazia diretta che in Europa è probabilmente vista più come un fastidio che come un valore.
Eppure siamo così, nel bene e nel male. Avvantaggiarci diplomaticamente con queste ultime manovre è frutto di fortuna ma anche di una certa sapienza politica. Se un domani saremo attori insieme ad altri di cambiamenti epocali, non lo sappiamo, sappiamo però che una nuova strada è tracciata, una strada che porta direttamente a un futuro sconosciuto e irto di sfide.
* piano per la ripresa europea, fu uno dei piani politico-economici statunitensi per la ricostruzione dell’Europa dopo la Seconda guerra mondiale.